Associazione Cernuschese Astrofili APS

Osservatorio Astronomico Civico "Gabriele Barletta"

Una visione “speciale” delle Nubi di Magellano (Swift/NASA)

[h5video width=”564″ height=”320″ directory=”astronews/swift-LMCeSMC/index” filename=”NASA_Swift_Tour-Nearest_Galaxies-UV”] Credit: NASA Goddard Space Flight Center

trascrizione del video

Il mio nome è Stefan Immler e sono astrofisico presso il Goddard Space Flight Center della NASA.
Vi parlerò di due tra le galassie più vicine a noi: le Nubi di Magellano, viste in luce ultravioletta dal satellite Swift.

Queste immagini a largo campo sono state riprese ad alta risoluzione alla lunghezza d’onda dell’ultravioletto. Entrambe distano da noi poco meno di 200.000 anni luce, ed ognuna contiene centinaia di milioni di stelle simili al nostro sole.
Avendo l’opportunità di visitare l’emisfero australe, potreste osservarle come deboli macchie luminose nel cielo notturno. Si muovono l’una attorno all’altra, ed entrambe orbitano nei pressi della nostra galassia. Delle due, la Grande Nube è fisicamente più grande e più vicina a noi rispetto alla Piccola Nube. Il loro aspetto disordinato è dovuto all’interazione gravitazionale tra di loro, alle forze mareali esercitate dalla presenza nelle vicinanze della Via Lattea, e alla formazione delle stelle al loro interno. In luce visibile, si osserva un miscuglio di stelle simili al sole, vicino a macchie rosa che identificano le regioni in cui nascono le stelle.
Luoghi in cui nubi di gas idrogeno vengono illuminate dalla luce di giovani stelle. Tutto questo è più evidente nella Grande Nube di Magellano.
Osservata ad alte energie, nell’ultravioletto, la Grande Nube appare molto diversa. Questa lunghezza d’onda blocca la luce delle stelle più vecchie mostrando quelle con meno di 500 milioni di anni di età.
Queste galassie sono relativamente piccole, ma sono anche molto vicine a noi.
Ciò significa che esse appaiono molto più grandi del campo visivo del telescopio Swift.
Per questo è necessario effettuare diverse osservazioni assemblate insieme. Swift ha dovuto riprendere 172 inquadrature con 2.200 brevi esposizioni per ottenere una foto dell’intera galassia.

La caratteristica più evidente della Grande Nube è la straordinaria Nebulosa Tarantola.
Si tratta del vivaio di stelle più attivo di tutte le galassie del Gruppo Locale (aggregazione che comprende anche la Via Lattea e la galassia di Andromeda).
Migliaia di stelle nascono ogni anno tra le fredde e oscure nubi molecolari.
Quando iniziano a brillare, spazzano via con potenti getti di vento solare le nubi di gas che hanno permesso loro di crescere.
Questi flussi di vento solare, ruotando vorticosamente, “scolpiscono” i gas dando alla nebulosa Tarantola la forma di ragno che conosciamo. Qui troviamo uno degli oggetti più massivi conosciuti: una stella chiamata R136a1 (più di 260 volte la massa del Sole).

La Grande Nube ospita più di un migliaio di ammassi stellari costituitisi nel primo periodo della sua formazione.
Vediamo per lo più stelle calde, giovani e luminose, ma anche una minoranza di stelle in fasi “esotiche” della loro vita, vicino alla morte.
Ovunque vi siano stelle giovani, calde e massive troviamo anche supernove.
Nel 1987 si è verificata un’esplosione stellare nei pressi della Nebulosa Tarantola: la prima osservabile in oltre 400 anni di storia umana.
Ancora oggi, 26 anni dopo, nell’ultravioletto è visibile una traccia dell’esplosione originaria.

Le nuove riprese di Swift rivelano circa un milione di oggetti nella Grande Nube e circa 250.000 nella più piccola, meno massiva e più distante Piccola Nube di Magellano.
In questo mosaico di immagini della Piccola Nube, Swift ha ripreso circa 50 inquadrature con 656 pose.

Una delle caratteristiche più interessanti è il giovane ammasso stellare NGC 346.
Contiene la stella più brillante della Piccola Nube, HD 5980, un sistema triplo i cui membri sono tra le stelle più luminose conosciute. L’intensa luce e i forti flussi di vento solare provenienti da queste stelle modellano i gas circostanti dando loro la forma di una ragnatela.

Le immagini ultraviolette composte da Swift ci permettono di studiare l’evoluzione delle giovani stelle nelle Nubi di Magellano in un’unica visione.
Operazione impossibile da compiere per la nostra galassia, visto che ne siamo dentro.
Immagini come queste aprono una finestra sul modo in cui le stelle nascono, evolvono e muoiono all’interno di due intere galassie.
Queste informazioni ci faranno comprendere sempre meglio i molti modi in cui le stelle trasformano l’universo in ciò che vediamo attorno a noi oggi.

Traduzione e sottotitoli a cura di Andrea Scanabissi
Video originale

Pulire le ottiche del telescopio

Mi date un consiglio per la pulizia delle ottiche del mio telescopio? Ho sempre paura di far danno”
Emanuela (su Facebook)


Ciao Emanuela,
nella tua richiesta non specifichi che tipo di telescopio utilizzi e cosa intendi per ottiche quindi affronterò l’argomento in un contesto il più ampio possibile.

Innanzitutto dobbiamo distinguere tra oculari (e accessori relativi) e ottiche del telescopio. A loro volta i telescopi sono divisibili fra tubi ottici chiusi e aperti.
I tubi ottici chiusi raggruppano rifrattori, Maksutov e Schmidt-Cassegrain. In questi strumenti ad essere interessata da polvere, impronte, sporco o condensa è rispettivamente la lente obiettivo, il menisco Maksutov e la lastra Schmidt. In ogni caso la superficie da pulire è costituita da vetro ottico, al pari degli oculari.
I tubi ottici aperti come Newton, Cassegrain e Ritchey-Chretien sono meno soggetti a condensa ancor meno ad impronte digitali ma la polvere non trova difficoltà a depositarsi sulle superfici ottiche. Queste inoltre sono costituite da specchi che per la loro delicatezza necessitano di un metodo di pulitura più laborioso di quello utilizzato per le lenti.

Per la pulizia sono necessari una pompetta in gomma, un pennello con setole morbide, una pezzuola in microfibra di buona qualità e un detergente specifico. Sono tutti prodotti facilmente reperibili in ogni buon negozio di ottica, fotografia o astronomia a prezzi accessibili e spesso raggruppati in pratici kit.

La pompetta
serve soffiare via la polvere depositata su lenti, specchi, ecc… e spesso è sufficiente per una pulizia veloce. Non è consigliabile utilizzare le bombolette di aria compressa vendute nei negozi di elettronica perché si corre il rischio che queste spruzzino gocce di propellente sulle superfici ottiche obbligando ad una pulizia più impegnativa. L’utilizzo di compressori a serbatoio è possibile solo se questi permettono una regolazione del flusso d’aria tale che il getto non risulti eccessivamente potente.

Il pennellino
deve essere di dimensioni adeguate alla superficie da pulire (piccolo per oculari e obiettivi, più grande per lastre e menischi) e soprattutto deve avere setole fitte e morbide per riuscire a rimuovere la polvere senza rischiare di graffiare le superfici.

La pezzuola in microfibra serve a rimuovere eventuali tracce di unto quali ad esempio le impronte digitali e i segni lasciati sugli oculari dalle ciglia. Al pari del pennello deve essere di buona qualità e molto morbida. Sconsigliati i panni che si trovano nei normali negozi o centri commerciali: costano meno ma non hanno la morbidezza dei prodotti per ottica e il risparmio non giustifica il rischio di danneggiare strumenti ben più costosi.

Il detergente
va acquistato in negozi specializzati o in alternativa può essere sostituito con alcool isopropilico. Ha il compito di aiutare a rimuovere le impronte grasse e i residui lasciati ad esempio dalle gocce d’acqua della condensa.

In generale una pulizia accurata prevede i seguenti passaggi:
soffiatura con la pompetta per rimuovere la polvere più grossolana, rimozione della polvere residua con il pennellino, eventuale passata con la pezzuola in microfibra e in caso di sporco persistente utilizzo della pezzuola inumidita con il detergente e successiva passata di asciugatura.
Con le superfici ottiche meno si tocca e meglio è, non è necessario procedere fino in fondo ma bisogna fermasi non appena il grado di pulizia è sufficiente: spesso pompetta e pennellino raggiungono lo scopo.

Vediamo in dettaglio come procedere.

Oculari, barlow, filtri e diagonali.

La lente più sporca, fatte salve eventuali cadute a terra, è quella a cui si accosta l’occhio. Questa infatti è più esposta della lente di campo, chiusa dentro il barilotto, e soggetta oltre che al depositarsi della polvere anche ad imbrattamenti grassi dovuti alle impronte digitali e ai residui di lacrimazione presenti sulle ciglia dell’osservatore. Come accennato sopra si procede innanzitutto girando l’oculare in modo che la superficie della lente sia verticale e soffiando abbondantemente aria con la pompetta per allontanare la polvere più grossolana (con la lente in verticale la polvere cade e non torna a depositarsi). Se necessario si procede con il passare delicatamente il pennellino più e più volte sulla lente sempre dall’alto verso il basso per rimuovere le particelle più fini. Se sono presenti piccole tracce di ditate o ciglia allora si passa delicatamente la pezzuola in microfibra in senso circolare per rimuoverle. Se le tracce persistono allora si inumidisce un angolo del pezzuola con una goccia di detergente passandolo poi sulla lente avendo cura di asciugare subito gli aloni risultanti. Mai applicare il detergente direttamente sulla lente perché colando lungo il bordo potrebbe insinuarsi all’interno del barilotto e diventare impossibile da asciugare a meno di non smontare tutto l’accessorio. In ultimo per eliminare anche gli ultimi aloni e residui di detergente è sufficiente alitare sulla lente (come si fa per gli occhiali) e asciugare subito con la pezzuola in microfibra la fine condensa che si è formata.
Per la lente di campo invece è sufficiente l’utilizzo della pompetta e al massimo, se lo spazio lo consente, una leggera passata con il pennellino.
Per i filtri e le barlow si procede in maniera analoga avendo cura nel caso delle barlow di smontare il barilotto delle lenti dal corpo della prolunga per avere un miglior accesso alle lenti da pulire.
Per la pulizia delle lenti sono disponibili anche appositi attrezzi chiamati “lenspen” che presentano un corpo in plastica delle dimensioni appunto di una penna a cui sono aggiunti ad una estremità un pennellino retrattile per la polvere e all’altra un particolare tampone in carbonio per le ditate.
Nel caso di diagonali a specchio, fermo restando la difficoltà di accesso alla parte da pulire, è meglio limitarsi all’utilizzo di pompetta e pennellino per rimuovere la polvere evitando eccessivi strofinamenti della superficie riflettente estremamente delicata. In extremis si deve procedere come per la pulizia degli specchi come descritto più avanti.

Tubi ottici a costruzione chiusa (rifrattori, Maksutov, Schmidt-Cassegrain, ecc).
Sia per le lenti obiettivo che per le lastre Schmidt o i menischi si procede con la stessa metodologia spiegata per gli oculari. In caso di condensa, salvo casi di necessità (pulizia d’emergenza sul campo), è meglio non cercare di asciugarla con panni ma utilizzare un phon ad aria fredda (per evitare sbalzi termici) o pazientemente con la solita pompetta o con ventagli. Ad asciugatura avvenuta rimarranno comunque dei residui che andranno eliminati con il detergente e la pezzuola in microfibra. Anche in questo caso non applicare direttamente il detergente sulla lente/lastra/menisco per evitare i pericolo di infiltrazioni sulla superficie interna dell’ottica.

Tubi ottici a costruzione aperta (Newton, Cassegrain, Ritchey-Chretien, ecc).
In questo tipo di schemi ottici le superfici interessate sono di norma poco soggette ad impronte digitali e condensa per via della loro collocazione interna al tubo ma soffrono comunque del depositarsi della polvere. La collocazione interna protegge dal contatto involontario con le dita ma allo stesso tempo impedisce un facile accesso per la pulizia: anche la sola rimozione della polvere con la pompetta o il pennellino diventa difficile se non impossibile. L’unica alternativa rimane lo smontaggio degli specchi dalle loro sedi e a questo punto, vista la difficoltà della manovra non alla portata di tutti, la pulizia si effettua solo nei casi in cui la quantità della polvere depositata sia tale compromettere la resa ottica oppure lo specchio sia stato in qualche modo contaminato da impronte digitali o altre sostanze che con la loro acidità possono comprometterne l’alluminatura.
Per la pulizia degli specchi si procede quindi con il loro smontaggio dalle relative culle o sostegni per poi collocarli, se le dimensioni lo permettono, nel comune lavandino di casa sul cui fondo è posto un panno morbido per impedirne lo scivolamento. A questo punto si fa scorrere abbondante acqua corrente fredda su tutta la superficie dello specchio tenuto inclinato così che il flusso rimuova tutta la polvere depositata. La rimozione della polvere è fondamentale per gli specchi dato che nelle successive fasi un semplice granello potrebbe essere trascinato sulla superficie alluminata graffiandola. Per questo motivo le “lenspen” non sono indicate per la pulizia dato che lo strofinamento del tampone in carbonio potrebbe strisciare qualche granello di polvere rovinando lo strato riflettente. Una volta eliminata la polvere si spande delicatamente qualche goccia di sapone neutro sulla superficie per eliminare eventuali tracce grasse. In questa fase si può utilizzare un batuffolo di ovatta zuppo o anche i polpastrelli bagnati delle mani che consentono una maggiore sensibilità. Si procede quindi risciacquando abbondantemente sotto il getto d’acqua ed infine si effettua un ultimo risciacquo con alcool isopropilico che elimina l’acqua residua ed evapora senza lasciare residui. Se dovessero essere rimaste alcune gocce sulla superficie è sufficiente accostarvi l’angolo di un fazzoletto di carta per assorbirle senza toccare lo specchio. In ultimo si lascia asciugare all’aria senza utilizzare phon o altre fonti di calore per evitare sbalzi termici. Per il rimontaggio dello specchio ovviamente bisogna prestare la massima cura nell’evitare di toccare la superficie riflettente con le dita, indossando nel caso dei guanti di cotone privi di pelucchi.

Mirko

E’ possibile migliorare la messa a fuoco del proprio telescopio?

Per un uso visuale la messa a fuoco è meno critica che nel caso di riprese fotografiche data l’intrinseca abilità dell’occhio umano (o meglio del cervello) di compensare eventuali deficienze di resa. La webcam o il CCD infatti non “interpretano” quello che vedono ma si limitano a riportare la luce che li colpisce tale qual è rivelando senza pietà ogni più piccolo difetto. Iniziamo ad esaminare le cause e i rimedi che possono influenzare la messa a fuoco nel primo caso dato che quanto applicabile dai visualisti è altrettanto di aiuto per gli astroimagers.

La messa a fuoco è influenzata da molte variabili, alcune tranquillamente gestibili, altre più casuali e ingovernabili. Tra i fattori su cui ben poco possiamo intervenire figurano il cattivo seeing che varia in continuazione la rifrazione atmosferica: con un’immagine stellare in continuo ribollio è impossibile determinarne la nitidezza. Altro fattore ambientale è la temperatura che varia con il passare del tempo e influisce anch’essa la corretta messa a fuoco anche se questa variabile si fa più evidente soprattutto in caso di lunghe focali.

Possiamo invece intervenire su altri fattor i legati alla tecnica e all’attrezzatura che stiamo utilizzando. Prima di tutto la pazienza: la messa a fuoco è sempre un’operazione delicata e sovente lunga e faticosa, quindi detta pazienza è il primo strumento di cui dobbiamo dotarci. Maggiore è la focale che si sta utilizzando, più difficile sarà raggiungere il punto di perfetto fuocoe più pazienza sarà necessaria. Nel caso di strumenti SC o newton è importante anche una corretta collimazione. Uno strumento scollimato non darà mai immagini nitide vanificando ogni sforzo di focheggiatura. Con pianeti come Giove o Urano che per la loro natura gassosa non offrono dettagli netti si può procedere mettendo a fuoco una stella vicina (o un satellite) per poi spostarsi sul pianeta. Per facilitare la ricerca dell’esatto punto di messa a fuoco sono di grande aiuto ausili come la maschera di Hartman o quella di Bahtinov.

La maschera di Hartman è un tappo posizionato davanti al telescopio su cui sono stati praticati 3 fori a forma di triangolo equilatero orientati tutti nello stesso verso. Puntando una stella luminosa la sua luce verrà suddivisa in 3 punti di forma triangolare con 3 baffi di diffrazione ciascuno (uno per ogni vertice del triangolo). Variando la messa a fuoco queste figure luminose tenderanno a concentrarsi verso il centro in un unico punto. Nel momento in cui i tre triangoli luminosi si fondono in un unico triangolo centrale con 6 baffi di diffrazione nitidi e luminosi abbiamo raggiunto una buona messa a fuoco. A questo punto ricordiamoci di togliere la maschera dal telescopio…

La maschera di Bahtinov sfrutta lo stesso principio di diffrazione ma in questo caso invece di 3 fori abbiamo una serie di fessure che creano 3 griglie diversamente orientate fra loro. La figura luminosa che si viene a creare è formata da un punto centrale e 6 baffi di diffrazione. A differenza della maschera di Hartman in cui la figura finale è comunque di piccole dimensioni con questa maschera la sagoma mantiene sempre la stessa grandezza mentre a variare con la messa fuoco è la posizione dei baffi. Quando questa non è precisa i 2 baffi centrali saranno spostati dal centro verso una delle altre due coppie mentre a fuoco perfetto i bafffi saranno distribuiti simmetricamente rispetto al punto centrale. Una spiegazione più dettagliata e con relativo video dimostrativo sono disponibili sul sito di questo astrofilo: https://gerlos.altervista.org/maschera-bahtinov-messa-fuoco-super-precisa.

Ovviamente buona parte della messa a fuoco è da imputare al focheggiatore. Nei telescopi economici spesso questo strumento è realizzato tutto o in parte in plastica con un movimento a pignone/cremagliera che utilizzando un unico punto di appoggio crea un “effetto altalena” che influisce negativamente sia sulla collimazione che sulla focheggiatura. Il risultato è quello di far basculare il portaoculari da un lato all’altro dell’asse ottico vanificando ogni tentativo di precisione. Migliori sono i focheggiatori con schema costruttivo tipo Crayford (magari demoltiplicato) in cui il tubo di focheggiatura scorre chiuso fra il rullo di movimento e i cuscinetti reggispinta con un andamento privo di giochi e oscillazioni. Nel caso non sia possibile o non si voglia spendere ulteriore denaro per sostituire il focheggiatore pignone/cremagliera originale si può provare a spessorare il tubo di focheggiatura per ridurne il gioco e l’oscillazione. Da evitare l’uso del nastro adesivo che finirebbe per impuntarsi e arrotolarsi dopo poco uso: io ho trovato ideale utilizzare il vellutino adesivo, più sottile e più liscio del comune nastro. Un altro accorgimento per facilitare il movimento fine di focheggiatori economici è quello di maggiorare una delle manopole di rotazione sostituendola o applicandovi un disco di plastica/metallo/legno quanto più grande sia possibile maneggiare. Con questo sistema ad un apprezzabile movimento dato con minimo sforzo alla rotella lungo la sua periferia corrisponde un piccolo movimento dell’asse del pignone. Senza la rotella maggiorata a causa del minor raggio di leva lo sforzo da applicare sarebbe maggiore a scapito della precisione del movimento (e del fuoco). In alternativa alla “rotella maggiorata” possiamo sostituire una leva solidale all’asse della manopola: quale che sia la soluzione l’obbiettivo è quello di aumentare il braccio di leva su cui applichiamo il movimento.

Per le riprese fotografiche sono validi tutti metodi sopra elencati per la messa a fuoco visuale, in particolare la maschera di Bahtinov è da preferirsi alla Hartman in quanto è utilizzabile anche su stelle non necessariamente luminose per via della maggior superficie delle aperture. Nel caso si utilizzino webcam o CCD dedicati nei relativi software di acquisizione sono di solito presenti funzioni di aiuto per la messa a fuoco che si tratti della semplice possibilità di zummare su un particolare o che si utilizzino funzioni FWHM (Full Width Half Maximum) che riportano numericamente e graficamente il diametro della stella che si sta riprendendo (ovviamente più l’immagine della stella risulta piccola e migliore è la messa a fuoco).

Mirko Gusmaroli

Come telescopio per la fotografia CCD cosa mi consigliate?

In base a come è formulata la domanda direi di considerare come scontati 3 fattori:

  1. si tratta di fotografia deepsky (in caso di planetaria e luna utilizzeremmo una webcam),
  2. la montatura sarà adeguata al peso dell’ottica e alla precisione di guida richiesta dal questo genere di fotografia,
  3. il sensore CCD è adeguato alla sensibilità richiesta (magari raffreddato).

Quindi dato che non si specifica un limite di budget rispondo con 4 proposte in ordine decrescente di costo e inversamente proporzionale alla qualità, considerando la tipologia delle ottiche in senso generale senza entrare nel merito delle marche e dei singoli modelli di telescopio:

  • Riflettore Ritchey Chretien (f 5/8) da 25/30cm – ha una configurazione ottica che consente un ampio campo piano e coma minimo. Il peso e il costo sono però elevati per via della difficoltà di lavorazione degli specchi. E’ la configurazione più usata per telescopi professionali. Necessita di collimazione ma è esente da mirror shift dato che lo specchio primario è fisso e la messa a fuoco avviene con un focheggiatore sulla culatta.
  • Rifrattore apocromatico f5/6 da 12/15 cm – a differenza del RC l’apertura è minore causa della difficoltà (e costo) della lavorazione delle lenti di grande diametro. Il peso non è trascurabile specie nei grandi diametri. Non necessita di collimazione.
  • Catadiottrico Schmidt-Cassegrain da 25/30cm con riduttore di focale a f6 – ha un’apertura più generosa dei rifrattori ma la presenza del riduttore di focale può creare problemi ottici (aberrazioni, vignettatura) al variare del setup. La configurazione mista lente+specchi comporta sia i pregi (minor costo costruttivo e compattezza del tubo rispetto ai rifrattori di pari focale) che i difetti (necessità di collimazione, coma, possibilità di cromatismo, mirror shift) ma ha soprattutto il vantaggio di essere molto versatile: questa configurazione può essere utilizzata sia per il planetario grazie alle focali native a f10-12 sia per il deepsky grazie al riduttore di focale e al diametro generoso. Il mirror shit può essere superato utilizzando un sistema di blocco del primario a cui si aggiunge un focheggiatore esterno a fronte però di un aumento dei costi per l’acquisto di questi ulteriori accessori. Le versioni esenti da coma (ACF) hanno costi superiori ai modelli tradizionali.
  • Newton f4/5 da 20/25cm – a parità di diametro è quello più economico. La luminosità spinta comporta un vistoso coma che riduce il campo effettivamente utilizzabile per le riprese. Sempre a causa del coma la cura della collimazione è molto importante per ottenere buoni risultati. Seppur più leggero di uno SC o RC di pari diametro la lunghezza del tubo genera un notevole braccio di leva e un ingombro di cui si deve tener conto per la scelta della montatura. Inoltre la camera CD e gli altri accessori sono montati lateralmente al tubo con il conseguente insorgere di ulteriori leve che impongono una particolare cura nella bilanciaciatura dei pesi.

Mirko Gusmaroli

Scelta dell’oculare per il telescopio

Cosa bisogna conoscere del proprio telescopio prima di comprare un nuovo oculare?

Premessa
L’oculare è lo strumento ottico che determina l’ingrandimento ottenibile con un telescopio.
Per poter utilizzare un telescopio al meglio delle sue potenzialità è necessario possedere un buon assortimento di oculari, al fine di coprire in modo graduale tutta la gamma degli ingrandimenti possibili.
Al momento del nuovo acquisto è necessario considerare gli oculari già in dotazione e valutare quali siano gli ingrandimenti mancanti.

In sintesi
1. Diametro obiettivo in mm (D)
2. Lunghezza focale telescopio in mm (Ft)
3. Lunghezza focale oculare in mm (Fo)

Massimo ingrandimento utile: 2 × D
esempio: D = 203 mm, allora ingrandimento massimo = 406x

Ingrandimento = Ft / Fo
esempio: 2032 mm / 8 mm = 254x