Associazione Cernuschese Astrofili APS

Osservatorio Astronomico Civico "Gabriele Barletta"

Autovelox speciali per viaggiatori da record:
i neutrini tra il CERN e il Gran Sasso

La velocità di un corpo indica la distanza che esso percorre in un dato tempo.Dal punto di vista matematico questo concetto si esprime tramite un rapporto: spazio diviso tempo. Coerentemente le unità di misura comunemente impiegate per indicare una velocità sono per esempio metri al secondo (m/s) o chilometri all’ora (km/h).

Per determinare la velocità di un corpo basta allora misurare uno spazio percorso e il tempo necessario per percorrerlo: il gioco è fatto! Il rapporto di queste due grandezze dà la velocità (media) con cui è stato percorso l’intervallo di spazio considerato.

Alcuni autovelox stradali funzionano proprio misurando il tempo necessario al transito di un veicolo tra due punti posti ad una distanza nota. Questi punti, detti ponti di rilevazione, possono trovarsi a distanze di qualche km e assomigliano a quello riportato in figura, detto “Tutor”.

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Detto delle distanze in gioco, vediamo ora con che ordine di tempi abbiamo a che fare. A 130 km/h, corrispondente a circa (130 km/h * 1000 m/km * 1/3600 h/s = 36 m/s) 36 m/s, per percorrere 1 metro si impiegano (1 m * 1/36 s/m = 0.028 s) meno di 3 centesimi di secondo. Evidentemente un tempo mille volte più lungo per percorrere un km (3600 s/h * 1/130 h/km = 27.7 s/km), cioè circa 28 secondi.

Chiediamoci ora quanto precisamente si voglia determinare la velocità di un corpo e cosa questo comporti dal momento che la velocità stessa è espressa tramite un rapporto tra spazio e tempo. Prima di tutto vale la pena chiedersi: quanto dobbiamo essere accurati nel determinare la lunghezza e l’intervallo di tempo? Proviamo a farlo con un esempio, ricordando che ad ogni misura è connesso un errore. Supponiamo di misurare una velocità con un errore relativo dell’1%: questo vuole dire che se misuriamo una velocità di 130 km/h saremo sicuri del valore misurato entro (130 km/h *1/100 = 1,3 km/h) 1.3 km/h, cioè che la velocità reale dell’oggetto non sarà inferiore a 128,7 km/h o superiore a 131,3 km/h. Quindi per poter dire con certezza che il limite dei 130 km/h é stato ecceduto, in caso l’apparato di misura sia affetto da un errore relativo dell’1%, dovremo misurare una velocità superiore ai 131,3 km/h. Il codice della strada é molto protettivo in tal senso e ci riconosce una tolleranza sulla misura della velocità al 5%. Quale sarà dunque la velocità misurata necessaria per contestarci un’infrazione di superamento del limite dei 130 km/h? [138 km/h, arrotondando alle unità]
Se quello che ci interessa é un rapporto di due grandezze, evidentemente il suo errore relativo sarà ereditato da quelli delle grandezze di partenza: a parte dettagli su come si propaghino gli errori relativi, come ci si aspetta si devono misurare la lunghezza e il tempo con un errore relativo inferiore all’1% per ottenere che il loro rapporto sia affetto da un errore relativo complessivo non superiore all’1%. Per comodità manteniamo l’1% in tutti i calcoli seguenti.

Questo vuole dire che nel caso dell’autovelox di cui sopra, considerando ponti di rilevazione posti alla distanza di 1 km, dovremo misurare il tempo di percorrenza commettendo un errore (1 km * 28 s/km *1/100 = 0.28 s) inferiore ai 3 decimi di secondo e la distanza dovrà essere nota con una precisione di meno di 10 metri. Questo non rappresenta un problema se la distanza può essere percorsa con un metro a nastro in mano (o sistema equivalente), proprio come nel caso di un tratto autostradale. Differentemente potrebbe rivelarsi assai più arduo.

Siamo ora dotati di tutti gli strumenti per affrontare un problema identico matematicamente, ancorchè tecnicamente ben più complicato, volendo avere a che fare con veicoli un po’ particolai, le particelle nucleari dette “neutrini”, che viaggiano ad una velocità enorme, quella della luce. Proviamo a semplificare dicendo che al CERN di Ginevra (luogo in cui i neutrini sono prodotti) si preoccupano di sapere il momento della partenza delle particelle mentre i Laboratori Nazionali del Gran Sasso registrano la loro ricezione. Se ci dimentichiamo per un attimo della quantità di tecnologia necessaria a trasferire l’informazione in due punti così lontani, la questione del tempo è affrontata con una semplice differenza (stop-start = tempo impiegato per percorrere il tratto, detto tempo di volo o TOF per “time of flight” in inglese), proprio come nel caso di un autovelox costituito da ponti di rilevazione. In questo caso i due ponti si trovano però alla ragguardevole distanza di circa 730 km, come schematizzato sotto (la sorgente al CERN, a sinstra, il tragitto attraverso le alpi dalla Svizzera all’Italia, al centro, ed i tunnel sotto al Gran Sasso, dove sono alloggiati vari esperimenti sui neutrini, a destra).


Proviamo allora a calcolare quanto tempo impiegherebbe a percorrere questa distanza un corpo che si muovesse alla velocità della luce, per i nostri scopi pari a 300000 km/s = 3*10^5 km/s = 3*10^8 m/s (notare km/s e non km/h, circa 4000 volte maggiore!). Applicando la definizione di velocità, proprio come fatto in precedenza nel caso di un normalissimo veicolo, si scopre che il tempo necessario a percorrere il tratto è pari a circa (730 km * 1/300000 s/km = 0.0023 s = 2.3 *10^-3 s) 2.3 millesimi di secondo.

Dai risultati accumulati dal rivelatore OPERA[1] al Gran Sasso, il sospettato eccesso di velocità dovrebbe essere di circa lo 0.0026%. Davvero non molto. Traducendolo nelle grandezze fondamentali questo darebbe (2.3*10^-3 s * 0.0026% = 60*10^-9s o 60ns) 60 nanosecondi o (730 km * 0.0026% = 0.019 km = 19 m) 19 metri circa. Deviazioni veramente piccole.

Per ottenere misure di tempo e distanza affette da errori inferiori alle deviazioni attese, necessariamente il sistema di misura dovrà essere molto più complesso di un semplice autovelox, anche dimenticandoci che trattiamo di particelle nucleari e limitandoci all’aspetto puramente metrologico: misurare il tempo con una precisione così elevata (pochi nanosecondi) parrebbe assai arduo, ma la questione principale non è questa. Infatti se sorgente e rivelatore fossero più vicini nello spazio si potrebbe fare assai meglio: non per nulla la velocità della luce é nota con precisione equivalente a quella desiderata nel caso dei neutrini già da molto tempo, semplicemente perché per la luce visibile esistono gli specchi. Sfortunatamente per i neutrini ancora no, quindi servono due laboratori posti ad una grande distanza lineare. Questo pone 2 sfide: la possibilità di sincronizzare orologi posti in luoghi così distanti in modo adeguato (se mi telefona Ginevra per dirmi che i neutrini sono partiti a mezzogiorno del loro orologio devo essere sicuro che anche il mio orologio al Gran Sasso allo stesso momento segnava mezzogiorno..entro pochi nanosecondi!); conoscere la distanza tra sorgente e bersaglio con la dovuta precisione. Quindi il punto centrale è e resta il vincolo sulle precisioni delle grandezze fondamentali (spazio e tempo) imposto dal dover utilizzare un esperimento così esteso spazialmente: un “laboratorio” lungo ben 730 km. Vediamo un po’ più nel dettaglio perché.

Il primo problema, quello della sincronizzazione degli orologi passa per tecnologie nucleari e tarature via satellite, test di accuratezza di ogni apparato coinvolto (e sono tanti tra generazione e detezione delle particelle), esulando un po’ dalla presente trattazione. Basti pensare che ci sono voluti molti anni per tarare e testare i sistemi fino a raffinare la sincronia degli orologi CERN-Gran Sasso ed ottenere una precisione di misura dei tempi attualmente stimata in 10 nanosecondi.

Affrontiamo invece il problema della misura della distanza, perché meglio si presta alla comparazione con il quotidiano. Visto che si parla di grandezze che iniziano a diventare comparabili con quella della Terra (il raggio medio convenzionale del nostro pianeta è stimato in circa 6370 km) bisogna avvalersi di un sistema che possa lavorare su questa scala di distanze. La punta della tecnologia attualmente disponibile sulle scale delle centinaia di km è sicuramente il GPS. L’errore di misura del posizionamento di ricevitori per tipici scopi civili è di circa 10 metri, motivo per cui in presenza di un nugolo intricato di strade, come spesso accade in prossimità degli svincoli della tangenziale milanese, bisogna avere un po’ di pazienza prima che il navigatore capisca dove effettivamente l’auto stia andando. Il fatto di dover poi misurare 2 punti (inizio e fine) per determinare la lunghezza del tragitto percorso dai neutrini renderebbe questa tecnologia inadeguata (errore totale di misura su due punti pari a circa 20 m, troppo). In casi speciali tuttavia l’utilizzo di supporti dedicati (ponti fissi a terra) forza il sistema GPS e permette di raggiungere precisioni mille volte migliori, con errori cioè dell’ordine del centimetro. Resta un problema: il sistema GPS si basa su satelliti, normalmente già poco visibili in presenza di alti palazzi, figuriamoci in fondo a gallerie sotto Ginevra o, peggio ancora, al massiccio del Gran Sasso.
Quindi il GPS dà il suo contributo sul grosso della distanza CERN – Gran Sasso ma l’informazione della posizione va propagata fino ai punti di reale produzione e misura, con il risultato di aggiungere altre sorgenti di errore. Se dal CERN si può uscire scavando un pozzo di areazione e dunque la posizione di produzione dei neutrini (benchè estesa) è nota con sufficiente precisione, la zona di detezione richiede molti sforzi per essere localizzata con cura. In particolare i quasi 10 km di tunnel autostradale e i cunicoli per arrivare fino al rilevatore OPERA fanno lievitare l’errore nella determinazione della sua posizione a 20 cm circa. Comunque assolutamente accettabile.

In conclusione, data la grande velocità con cui si ha a che fare (la velocità della luce appunto) e i limiti imposti dalle caratteristiche delle particelle e dalle tecnologie disponibili, la distanza di 730 km è necessaria per riuscire a determinare con precisione appena sufficiente la deviazione della velocità dei neutrini rispetto a quella della luce nel vuoto. Dal punto di vista della misura della distanza, i punti di generazione e rilevamento avrebbero potuto essere ben più vicini a patto di averli più “comodi” da misurare con il sistema GPS (visibili dai satelliti e non seppelliti sotto centinaia di metri di roccia. Ma questo è necessario per schermare sia la sorgente sia il rilevatore). Non altrettanto si può dire della misura del tempo, che attualmente è il fattore limitante la precisione con cui si è determinata la velocità dei neutrini (10 ns dichiarati come errore del sistema di misura adottato a fronte di 60 ns misurati) e che di fatto rende necessaria la grande distanza lineare tra la sorgente e il rilevatore dei neutrini. Almeno per il momento.

Come sempre la scienza attende che un gruppo di ricerca indipendente (che dovrà affrontare problemi, misure ed errori diversi) confermi il risultato ottenuto prima di ratificarlo. Solo così si potrà essere ragionevolmente certi della violazione di un principio ritenuto finora assoluto: l’insuperabilità della velocità della luce nel vuoto. Questo postulato è alla base della teoria della relatività di Einstein, formulata nel 1905, che finora aveva collezionato essenzialmente solo grandi successi.

Gli aspetti umani e scientifici di tale scoperta, se confermata, sarebbero importantissimi. Basti dire che nella prima settimana dalla diffusione della notizia i server dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso e quelli del CERN di Ginevra sono stati letteralmente presi d’assalto! Segno che, a parte la fame di notizie che travolge quotidianamente il nostro mondo basato sul business dell’informazione, tutti si sono resi conto di essere spettatori di una possibile svolta epocale, come in fisica non capitava da 80 anni.

Alcune curiosità:

  • la precisione con cui un’auto determina i km percorsi si attesta vagamente sulle centinaia di metri ogni 1000 km (una precisione relativa di appena 10^-4 ovvero 0.01%), dunque ben lontana da quanto richiesto in questo esperimento;
  • per una misura accurata della distanza percorsa, un interferometro laser sarebbe stato sufficiente purché il bersaglio fosse quasi visibile dalla sorgente (diciamo con un numero limitato di curve. Superare le Alpi è decisamente un po’ troppo). Risulterà quindi chiaro quanto sarebbe stato comodo avere a disposizione un tunnel, possibilmente rettilineo, congiungente il CERN con il Gran Sasso, proprio come quello ipotizzato in una nota del ministero: certo non sarebbe costato così poco come dichiarato..dunque, grazie ai fisici, pignoli sì ma tutto sommato parsimoniosi!
  • la distanza calcolata tramite il GPS si basa su modelli della crosta terrestre perché deve tenere conto della posizione nello spazio tridimensionale di sorgente e bersaglio dei neutrini. Infatti, trattando la terra in prima approssimazione come una sfera ed essendo la distanza da percorrere rilevante rispetto al raggio terrestre (circa 730 km contro circa 6370 km, cioè quasi 1 a 9), la differenza tra prendere i due punti di generazione e detezione su una retta (i neutrini “tagliano” nel sottosuolo attraverso la terra) o su un arco di circonferenza (la superficie della terra, dove sono poste le antenne GPS) è di circa 400 metri, ben al di là della precisione necessaria;
  • il terremoto dell’Aprile 2009 ha spostato la crosta terrestre nei dintorni de L’Aquila di circa 10 cm, prontamente rilevati dal sistema che periodicamente tiene sotto controllo la distanza tra il CERN e i laboratori del Gran Sasso per le misure di OPERA, allora all’inizio della sua attività;
  • il sistema di rilevamento OPERA, nato per un altro tipo di esperimento legato ai neutrini, è un faraonico sandwich di lastre fotografiche e piombo, un mosaico 3D di centinaia di migliaia di blocchetti, per un peso complessivo di circa 4000 tonnellate ed una lunghezza di circa 20 metri. Fino ad ora OPERA ha rivelato circa 15000 neutrini. Di questi solo una parte esigua ha dato origine a segnali significativi.

Claudio Mazzoli


[1] Per informazioni sull’esperimento OPERA vedere ad esempio: https://en.wikipedia.org/wiki/OPERA_experiment.